L'invasione del cemento presenta il conto al Ticino

Saccheggio urbanistico
del bel Cantone

CLEMENTE MAZZETTA

Il Caffé 21.7.13

Non diversamente da tante altre periferie europee, lo sviluppo urbanistico del Ticino ha evidenziato quello che Mario Botta chiama "un vero e proprio disastro territoriale avvenuto nel pieno rispetto (e questa è un'aggravante) di tutte le leggi e le norme di attuazione".  Un "disastro" che l'architetto pianificatore Fabio Giacomazzi definisce logica conseguenza del "saccheggio del territorio" avvenuto nella seconda parte del secolo scorso.
La denuncia dell'archistar ticinese, in un intervento sul quotidiano zurighese  Neue Zürcher Zeitung all'inizio del mese, "Beton boom in Ticino", punta l'attenzione sul "Pian Scairolo" come un caso esemplare:  "Il peggio della pianificazione dell'intero Paese". Un'ex zona agricola presa d'assalto da un'infinità di attività commerciali con un'edificazione di oltre  500 mila metri di superficie senza alcun disegno urbanistico.  "Siamo semplicemente di fronte al risultato  di un modello edificatorio di sviluppo applicato nei decenni passati - commenta Enrico Sassi, docente di Cultura del territorio all'Accademia  di Mendrisio -. Il risultato si vede solo ora e non è, per usare un eufemismo, di grande qualità".  
Ma come era, in cosa consisteva  il modello di sviluppo urbanistico del secondo Dopoguerra? "Negli anni '70 la società e l'economia chiedevano terreni edificabili per capannoni e per palazzine, strade d'accesso. Senza preoccuparsi d'altro - spiega Giacomazzi -. Oggi siamo confrontati con una situazione, di fatto, dovuta ai piani regolatori di prima generazione degli anni '70. I grossi errori si sono compiuti in quel periodo, espandendo a dismisura i territori edificabili, senza pretendere che il plusvalore generato, che era enorme, potesse essere investito negli spazi pubblici". Detto altrimenti, costruendo e lasciando nelle tasche dei privati gli utili della trasformazione del territorio e scaricando sul futuro i problemi di una urbanizzazione disordinata.  
"Va però anche anche detto che  il  concetto di spazio pubblico a quei tempi era praticamente assente - aggiunge Giacomazzi -  non era una domanda della società. Il degrado edilizio prima ancora di essere figlio della frammentarietà delle pianificazioni dei singoli comuni, è frutto della frammentarietà degli interessi, dei gruppi sociali, ma anche  della struttura fondiaria ereditata dal passato, struttura inadeguata allo sviluppo delle nostre città".
Se il Pian Scairolo, per dirla con Mario Botta,  è nel Luganese "un territorio urbanizzato senza alcun vero progetto", non diverse sono le periferie di Locarno, Bellinzona e del Mendrisiotto.
Un risultato inevitabile secondo l'architetto Luigi Snozzi, autore di un intervento a Montecarasso, unico in tutta Europa,  per un uso qualitativo del territorio:  "Paghiamo ora l'eccessiva speculazione dei decenni passati.  Si è costruito con una assoluta mancanza di rispetto verso tutto quello che aveva a che fare con la collettività, il pubblico, cercando solo di soddisfare gli interessi di ben definite cerchie", osserva Snozzi che nel mucchio dei "cointeressati", mette un po' tutti: imprenditori,  amministratori, tecnici, architetti... "La ricchezza del Ticino di oggi è data dalla speculazione passata. Ma non siamo stati i soli:  il fenomeno ha una dimensione europea - precisa Snozzi -,  come il Ticino anche altre periferie, presentano un'urbanizzazione senza qualità, caotica. Ben peggio di  noi stanno l'Italia e la Francia".  
Infine, assodato che la qualità urbana delle periferia non è di grande qualità, occorre pensare ai rimedi. A quello che si può fare.
Una risposta la offre Sassi, che con Michele Arnaboldi sta curando uno studio "Ticino città di domani" per proporre  una serie di idee su come intervenire su queste aree edificate ed industriali: "Dobbiamo lavorare sulla qualità dello spazio pubblico perché il futuro degli agglomerati urbani passa dalla riqualificazione dalle periferie".

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@clem_mazzetta

 

Noi aggiungiamo:

A Castione il padrone dell'asino non si è accorto che li mancava l'erba ma ha continuato a farlo brucare credendo che l'asino  si sarebbe abituato a non più mangiare. La fine la conosciamo. Così siamo rimasti senza asino e senza la terra. (dala saga dello scemo del paese)

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