Editoriali del GdP
(04.04.2014 - 08:42)
Un rimedio peggiore del male
L'editoriale di Claudio Mésoniat di mercolerdì 2 aprile.
di Claudio Mésoniat
Il nostro ministro delle Istituzioni, Norman Gobbi, sta cercando di difendere con i denti il nuovo testo di legge sulla prostituzione emanato dal suo Dipartimento. Ma il testo, per ora allo studio della Commissione della Legislazione, non incontra affatto il plauso unanime delle forze politiche e neppure quello dell’opinione pubblica.
Sul GdP si sono espresse già da tempo alcune voci molto critiche, come quelle dello psicanalista Aldo Lafranchi e del granconsigliere Maurizio Agustoni, che contestano giustamente al progetto di Gobbi una visione di fondo troppo angusta: non si può ridurre un tema che tocca così da vicino la dignità profonda della donna (ma anche dell’uomo), limitandosi a metterlo sotto il cappello costituzionale della libertà di commercio e proponendo misure ispirate a esigenze di igiene, tranquillità e ordine pubblico. Nessuno contesta il diritto di una persona a prostituirsi, ma Gobbi, con una buona dose di ostentata ingenuità, vorrebbe selezionare i tenutari di «locali erotici» in base alla loro «provata moralità», per poi dettagliare una serie di misure alquanto severe «affinché vi siano i presupposti che garantiscono a chi si prostituisce di farlo in piena libertà e consapevolezza» (si veda su “laRegione” di ieri). Il ministro mostra un’impavida indifferenza di fronte all’esito delle recenti incursioni della Magistratura ticinese nei locali esistenti: neppure un solo caso in cui le leggi vigenti non siano state aggirate, con una grandinata di denunce, vuoi per «tratta di esseri umani », vuoi per sfruttamento economico delle prostitute, o ancora per violenze, uso di droghe eccetera. Si tratta di reati che inestricabilmente si accompagnano allo sfruttamento della prostituzione. Vogliamo credere che una legge «severa» e qualche poliziotto di sorveglianza in più basterebbero a «ripulire» questi ambienti?
Ma c’è un aspetto giuridico di fondo che vorrei mettere in luce. In ambiti delicati dal punto di vista costituzionale e penale, per loro natura precariamente a cavallo tra legalità e illegalità, credo sia spesso buona regola che uno Stato eviti di legiferare puntigliosamente. Mi spiego con un paragone, che forse a Gobbi farà rizzare le orecchie. Un politico a lui vicino, quand’era consigliere federale (e a mio parere svolgeva egregiamente il suo compito), Christoph Blocher, si rifiutò tenacemente di legiferare sul tema dell’assistenza al suicidio, nonostante le forti pressioni che subiva da ambienti diversi. Tra questi, in particolare, le stesse associazioni che si dedicano a tale triste pratica. Blocher argomentò, tra l’altro, che bastava l’attuale articolo del codice penale (che non punisce chi assista un suicida purché non lo faccia per ragioni egoistiche), mentre un testo legislativo ad hoc avrebbe istituzionalizzato, in qualche modo nobilitato e quindi incrementato le attività delle «benemerite» associazioni. È un effetto, questo dell’istituzionalizzazione, che una legge come quella in cantiere avrebbe senz’altro sui postriboli. Con le inevitabili conseguenze di proliferazione, oltre che di sdoganamento morale e sociale. Non val la pena rifletterci? Prima che il Ticino diventi –come ho scritto qualche mese fa- una piccola Thailandia insubrica, così come la coltivazione e il commercio della canapa stava per ridurlo, anni fa (ricordate?), ad una specie di Colombia delle Alpi.
Ma Gobbi incalza, facendosi scudo delle prerogative comunali: la presenza di locali a luci rosse dipenderà pur sempre, in ultima istanza, da normative e scelte dei singoli Comuni. Ai quali, in realtà, resta la magra competenza di stabilire le zone adibite o meno all’edificazione di postriboli. Con una legge cantonale che, di fatto, li autorizzerebbe e li regolamenterebbe minuziosamente. Certo, alla popolazione rimarrà ancora la possibilità di brandire l’arma del referndum, come abbiamo appena visto a Castione e come –forse- stiamo per vedere a Cadenazzo. Vogliamo aprire, sulla prostituzione, una stagione referendaria di Comune in Comune (oltre che a livello cantonale, come affacciato da alcuni deputati)?