Il Caffè

01.12.2013

Postriboli

di Marino Niola

 Professore ordinario di Antropologia culturale all'Istituto Universitario S. Orsola d


Sembra facile mettere su un casino. In realtà si va incontro a un problema dietro l'altro. La prima questione da risolvere è quella dell'impatto ambientale. Che in un Paese civile e rispettoso delle normative legali è sempre in cima alla lista degli adempimenti. Soprattutto nell'auspicabile eventualità che l'esercizio venga preso d'assalto dalla clientela premiando gli sforzi degli investitori. L'utile - che mai come in questo caso coincide col dilettevole - non può e non deve diventare un problema per la collettività. Al contrario, il business dovrà inserirsi armoniosamente nel tessuto comunitario e abitativo, come dimostrano le polemiche sulle licenze edilizie dei postriboli, con l'ultimo clamoroso caso del Lumino's.  Prevedendo, magari, parcheggi per non intasare la circolazione, aree verdi attrezzate e, perché no, spazio giochi e baby sitting per intrattenere i bambini mentre i papà fanno la spesa.
C'è poi da calcolare l'impatto sul Pil, per aumentare la ricaduta economica dell'affare sull'intera zona. Negozi, ristoranti, gadgettistica, abbigliamento, farmacie, devono lavorare tutti partecipando anche indirettamente agli utili del sexual club. Quel che si dice economia di scala. Così sembrano ragionare molti politici, dando prova di una capacità di amministrare il territorio che guarda sempre avanti. Sarebbe tutto perfetto se non fosse per la particolarità della categoria merceologica. Ovvero il corpo di una persona. Che viene trattato e disciplinato alla stregua di una merce qualsiasi, come accade con le leggi sulla prostituzione in Svizzera. Tant'è che dal bilancio preventivo è assente qualsiasi considerazione di carattere morale. Risultato, il costo complessivo di un'ora d'amore viene valutato più o meno di un frigorifero, di uno smartphone, di un Bimbi o di un motorino. Fa specie che i legislatori non siano nemmeno sfiorati dall'idea che questa apparente libertà di mercato sessuale sia, in realtà, una forma di lenocinio ottimizzato e compartecipato. La versione neoliberista del mestiere più antico del mondo.
La prostituzione, diceva Baudelaire, è l'arcano della merce. Perché la prima cosa che gli uomini hanno potuto vendere è il loro corpo, o meglio il corpo delle loro donne. Che difficilmente sono state in grado di opporsi alla vendita. E dunque basterebbe questa considerazione, quasi scontata, per chiedersi dove stia la differenza tra le non-libertà degli antichi e le libertà dei moderni. Evidentemente siamo molto più simili ai nostri antenati di quanto amiamo credere. Se le nostre libertà, a dispetto di secoli di cristianesimo e di conquiste civili, si risolvono in una questione di conti e di bilanci. E se l'apertura di una casa di piacere - qualunque sia il nome o la ragione sociale, di questo si tratta - non solleva la minima questione di ordine etico e sociale, allora vuol dire che i responsabili della cosa pubblica più che a garanti della polis assomigliano a tenutari di bordelli.
In fondo le nostre asettiche beauty farm dell'eros fiscalizzato assomigliano, mutatis mutandis, ai lupanari dell'antica Roma dove le signorine spegnevano gli eroici furori dei Quiriti facendo salvo l'onore delle matrone. Certo le veneri mercenarie dell'Urbe erano oggetto di uno sfruttamento brutale e violento, da schiave del sesso. Mentre le nostre squillo, escort, o cubiste, in molti casi sono diventate imprenditrici di se stesse, pagano le tasse. Ma sono ancora molte le clandestine del desiderio. Si calcola che, in media, su 250 belle di giorno che contabilizzano scrupolosamente entrate e uscite, ce ne siano 750 che invece danno via la loro merce in nero. Moltissime straniere arrivano come "frontaliere" della marchetta, magari col permesso turistico. E finita la stagione se ne tornano nel loro Paese, senza lasciare neanche uno spicciolo nelle casse della Confederazione. Ma versano, in compenso, un fiume di denaro nelle tasche di albergatori e locatori compiacenti oltre che dei loschi figuri che formano il sottobosco di questo business parallelo. Ufficialmente si chiamano reclutanti di artiste, ma spesso e volentieri sono semplicemente uomini dal cuor di lenone. Un terziario arretrato che introita laute percentuali sottraendole al commercio del sesso legale. Così al danno emergente si aggiunge il lucro cessante. Con grande scandalo dei sostenitori dell'orgasmo certificato, della tracciabilità sessuale. I quali hanno molto da ridire sul mancato guadagno, ma nulla sulla natura della transazione. Il che mostra come, nel mercato globale - da cui l'etica è stata espunta come impedimento moralistico - sia sempre più difficile distinguere l'economia legale da quella illegale. Perché stupirsi allora se per molte ragazzine diventare escort sia il coronamento di un sogno di carriera. Se la riuscita sociale si misura solo in contanti e non più in emancipazione, dignità e rispetto di sé. Se le stesse istituzioni politiche si riducono a consigli d'amministrazione, allora vuol dire che il liberismo selvaggio ha vinto su tutti i fronti. E soprattutto ha colonizzato le nostre anime. Anzi le ha prostituite.

01-12-2013 01:00

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