L’INTERVISTA ❚❘❙ MICHELE ARNABOLDI
In Ticino il grande assente è un progetto urbanistico
«Viene lasciata troppa libertà ai Comuni»
CdT 14.01.2012
❚❘❙ Il nostro Cantone, anche se dista solo una sessantina di chilometri da Milano, è lontanissimo dalla realtà urbana del capoluogo lombardo (che cerca di difendere il suo centro dal traffico e dall’inquinamento con Area C, leggi servizio a lato). «Il Ticino – afferma Michele Arnaboldi, architetto locarnese e professore dell’Accademia di architettura di Mendrisio – è una città diffusa che va dal San Gottardo fino alla Lombardia. E i suoi centri, concentrati nel fondovalle (che rappresenta il 15 per cento di tutto il territorio cantonale mentre l’85 per cento è costituito da montagne, valli, fiumi e boschi), sono da immaginare come tanti quartieri disposti su un territorio di circa 2.800 km quadrati, abitati da poco più di 333 mila abitanti. Le distanze non sono infinite. Si potrebbe tranquillamente abitare a Bellinzona, lavorare a Lugano e, la sera, andare a cena o al cinema nel Mendrisiotto. Ma non viviamo ancora lo spazio in questo modo, la città diffusa non è ancora entrata nella nostra mentalità. Per ora, lo si vede anche con la questione delle aggregazioni, i ticinesi faticano ad uscire dalla logica localistica, sono portatori di una cultura ancora provinciale». Forse in futuro, dice il nostro interlocutore, con lo sviluppo di un sistema di trasporto pubblico più efficace e, naturalmente, anche sostenibile a livello economico, si potrà sviluppare un maggior senso di unità. E anche contribuire alla salvaguardia dell’ambiente e della vivibilità dei nostri agglomerati urbani. «Pensiamo ad alcune città elvetiche, come Zurigo per esempio: il forte sviluppo dei mezzi pubblici, unito ai prezzi elevati dei parcheggi che non invogliano certo la popolazione ad utilizzare l’automobile, contribuisce a contenere il traffico e l’inquinamento nel centro. Per questo in Svizzera l’idea di una “pollution charge” o “congestion charge” (la scelta da parte di un Comune di far pagare un pedaggio per circolare in città, n.d.r.) non ha mai preso piede: semplicemente non serve». Sembra però che il nostro Cantone stia andando in un’altra direzione, dice Arnaboldi: se da un lato l’offerta ferroviaria sta migliorando, il sistema degli autobus peggiora (biglietti sempre più cari, diminuzione di tratte e corse per risparmiare).
Spreco di suolo ed energia
Un altra peculiarità ticinese, continua l’architetto, è la «mentalità della casetta in periferia». «Il fenomeno dell’insediamento residenziale in aree sempre più lontane dai centri, dove il terreno costa meno – specifica – è iniziato negli anni Settanta e ora prosegue e si diffonde in tutto il Cantone. La dispersione urbana è ben visibile nel Luganese e nel Mendrisiotto, ma non è meno presente nel Locarnese, nel Bellinzonese e nelle Valli. Nel tempo quest’evoluzione ha assunto dimensioni notevoli, anche problematiche, dando vita al fenomeno dello “sprawl urbano”: la crescita di un’area metropolitana rapida e disordinata, con infrastrutture sviluppatesi in maniera irrazionale. I cui segni caratteristici sono: insediamenti diffusi, bassa densità abitativa, forte consumo (spreco) di suolo e di energia». Gli effetti della dispersione urbana, spiega l’esperto, includono la riduzione degli spazi verdi, il maggiore utilizzo dei veicoli a causa della maggiore distanza dai mezzi di trasporto pubblico e lo scoraggiamento del traffico non motorizzato o pedonale nel tragitto casa-lavoro a causa della maggiore distanza e per la mancanza di infrastrutture come ad esempio piste ciclabili, marciapiedi o attraversamenti pedonali adeguatamente connessi. «Pensiamo ad esempio a Lugano. Centro finanziario e commerciale trafficato e rumoroso di giorno, di notte si trasforma in un deserto: infatti residenze, cinema e locali si sono spostati in periferia. Permettere questo trasferimento è stato un errore perché la parte più attrattiva della cittadina è proprio il centro che andrebbe riqualificato, come andrebbe ripensata anche la periferia. Le aree più a stretto contatto con le vie di comunicazione, ad esempio, potrebbero diventare centri del terziario estremamente funzionali». Di chi è la colpa di questa deriva? Arnaboldi non ha dubbi: «Si può sicuramente parlare di una mancanza di strategia politica a lungo termine. Se da un lato il Piano direttore è più propositivo, sono i Piani regolatori comunali ad aver permesso quest’involuzione. Se si vuole densificare un’area, bisogna prima creare le infrastrutture adeguate per sostenere lo sviluppo: strade, piazze, parcheggi e una rete razionale di trasporti pubblici. Questo non è stato fatto. Il problema, in soldoni, è la mancanza di un progetto urbanistico ad ampio respiro».
Un’impresa titanica
Nell’autunno del 2010 è partito, proprio sotto la direzione di Arnaboldi e promosso dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica (FNS), lo studio Public space in the «Città-Ticino» of tomorrow ( Spazio pubblico nella «Città-Ticino » di domani) che indaga le possibilità di miglioramento qualitativo della «Città-Ticino» attraverso gli strumenti del progetto urbano e del progetto territoriale (cfr. www.pnr65.ch). «Costruire la “Città-Ticino” non significa ovviamente ambire a urbanizzare l’intero Cantone, facendone un unico agglomerato », specifica l’architetto locarnese, «ma pensare attivamente il suo sviluppo, sfruttando le opportunità e individuando le contraddizioni».
La ricerca considera tutto il territorio cantonale, suddividendolo in quattro comprensori, ognuno con le sue caratteristiche peculiari: Biasca e la Riviera (da Nord, la prima finestra sul Ticino), il Piano di Magadino con il Locarnese ed il Bellinzonese (più legati al turismo), il Luganese (la piazza economica-finanziaria) e il Mendrisiotto (particolarmente in relazione con Varese e Como). «Stiamo studiando queste aree, evidenziandone i punti di forza. Inoltre abbiamo identificato gli “spazi dimenticati” e provato a ridefinirli in modo da farli diventare parte integrante dello sviluppo del territorio. Lo scopo è quello di consolidare il Cantone in tutte le sue componenti, accrescendone gli equilibri e la coesione. Per gestire i conflitti e affrontare le sfide dello sviluppo territoriale – e non ne mancheranno, basti pensare ad AlpTransit – è necessario pensare al Ticino come a un’unica città diffusa, pianificando e progettando ogni sua parte. Mi rendo conto: si tratta di un’impresa titanica che si scontra con muri spessi. Culturalmente e politicamente, come detto, non siamo pronti ad abbracciare dimensioni così ampie, tendiamo a rimanere aggrappati al nostro orticello. E, forse, il problema è anche che il Cantone lascia troppa libertà ai Comuni: tutta questa autonomia in materia di sviluppo territoriale e urbanistico non ha ragione di esistere».
ROMINA BORLA
Il difetto
Per ora, lo si vede anche con la questione delle aggregazioni, i ticinesi faticano ad uscire da una logica localistica, da una cultura ancora provinciale