Per riflettere e non farsi mettere nel sacco.
■ IL CASO XAMAX
UNA LEZIONE PER IL CALCIO SVIZZERO
di TARCISIO BULLO - CdT 19.01.2012
Di fronte alla cancellazione del glorioso Neuchâtel Xamax dall'élite del nostro calcio, non è azzardato affermare che la Swiss Football League si stia confrontando con uno dei momenti più difficili della sua storia. Mentre nelle aule dei tribunali risuona ancora l'eco dei litigi tra le varie istanze che governano il calcio ed il Sion, con quei 36 punti di penalità che costituiscono - al di là dei torti e delle ragioni di ognuno - una mostruosità se paragonati a sanzioni decretate nei Paesi vicini per infrazioni più gravi di quelle commesse dai vallesani, il nostro campionato a metà del suo cammino viene amputato di una delle dieci squadre partecipanti.
Il Neuchâtel Xamax dovrà ricominciare dalle leghe minori ed è giusto che ciò accada perché le inadempienze del club rossonero sono talmente tante e talmente gravi che non si possono tollerare. Fatture e salari dei giocatori e dei dipendenti del club non pagati, quote dei contributi sociali rimaste scoperte, garanzie bancarie false: il padrone ceceno dei rossoneri Bulat Chagaev non ha evidentemente capito che in Svizzera certi principi di correttezza non possono essere calpestati senza pagarne le conseguenze. Se da questo punto di vista la vicenda ci rassicura sulla capacità del nostro calcio di autoregolarsi e prendere sanzioni contro chi viola le regole del gioco, anche sul piano amministrativo, da un altro lato non possiamo non prendere atto con un certo sbigottimento di quanto è accaduto. Le campane a morto che suonano alla Maladière devono mettere un po' tutti sull'attenti, per diverse ragioni. Se un club glorioso come quello neocastellano finisce nelle mani di un losco figuro ceceno, bisogna interrogarsi circa gli interessi che suscita il calcio tra gli imprenditori svizzeri. Viviamo in un Paese che per intanto sembra ancora star bene, il budget medio di una squadra di Super League non raggiunge le cifre stratosferiche di altri campionati. Per far vivere lo Xamax, sarebbero bastati meno di 10 milioni di franchi l'anno. Eppure nessun imprenditore locale si è fatto avanti quando l'ex presidente Silvio Bernasconi ha reso nota l'intenzione di cedere il club, se non per rivendicare gratuitamente la ripresa della società, che non era in vendita a cifre pazzesche, ma per meno di due milioni di franchi. Lo Xamax ha uno stadio nuovo, polifunzionale, un pubblico di fedelissimi. Teoricamente c'erano tutte le premesse per far bene, ma la società è stata ceduta a un imprenditore ceceno...
Insomma: per anni ci siamo trastullati con l'idea che per migliorare lo stato di salute delle nostre società e garantire loro un futuro sereno sarebbe stato indispensabile uno stadio nuovo e moderno, capace di mettere al riparo un club da brutte sorprese. Invece bisogna rendersi conto che lo stadio non basta. Fosse il contrario, Bernasconi forse non avrebbe venduto o avrebbe trovato un imprenditore in loco disposto a prendere il suo posto. Il calcio svizzero è recidivo: lo stadio nuovo non ha impedito il fallimento del Servette qualche anno fa. E lo stadio nuovo, soltanto la passata stagione, non ha evitato che il San Gallo, diretto da imprenditori svizzeri, per poco non facesse la fine dello Xamax, essendosi trovato ad ottobre in un mare di debiti. Questo però suggerisce un'altra cosa. Cioè che la procedura per il rilascio delle licenze è perfettibile, nella misura in cui dovrebbe poter evitare situazioni come quella verificatasi a Neuchâtel adesso e fu solo sfiorata l'anno scorso a San Gallo. Le licenze vengono rilasciate in primavera, ma in seguito i club possono cambiare proprietà, con conseguenze sui mezzi economici disponibili: ai proprietari bisognerebbe chiedere prima dell'inizio del campionato, per convalidare la licenza, di presentare in Lega una fidejussione pari almeno ad un terzo del budget previsto per disputare la stagione. Questo non eliminerebbe del tutto il rischio di insolvenza o di inadempienza verso gli impegni presi, ma lo ridurrebbe considerevolmente. Un'altra soluzione interessante - ma forse poco praticabile per il disinteresse svizzero nei confronti del calcio - sarebbe quella di copiare il modello tedesco, dove non può esserci un solo proprietario di club, ma al massimo si può possedere il 49% del pacchetto azionario. Ciò significa ripartire su più investitori l'onere di finanziamento di una società e, in definitiva, una diminuzione del rischio di non poter far fronte agli impegni assunti. Infine, perdurando il disinteresse locale verso il nostro calcio (il Ticino è un... florido esempio in questo senso) è inevitabile che in futuro saremo sempre più esposti al verificarsi di situazioni simili a quella di Neuchâtel, perché la visibilità offerta dal calcio è enorme, le possibilità di concludere affari nell'ambito di questo sport pure, e una società svizzera, comprata per pochi soldi rispetto a quelle estere, se gestita con oculatezza permette di entrare nel lucroso giro delle coppe europee anche senza allestire budget di grosso calibro.