Il contenuto di questo articolo ha delle analogie con la nostra causa, basta scoprirli.

La Regione Tcino 22.09.2012

Il senso del taccuino

Luce, tenebra e l’aria fritta dei furbi

di Gianluca Grossi



Non poteva durare. Stavamo andando quasi d’accordo. Stavano diventando quasi come noi. Cominciavano a piacerci. Avevano fatto la rivoluzione, come i francesi. Per le strade si vedevano ragazze con i capelli al vento, come le nostre ragazze (“non diresti nemmeno che sono musulmane”). Avevano scoperto internet (“era ora”). Volevano (“da non credere”) la democrazia. E per conquistarla non si sono fatti saltare in aria (“ma allora non sono tutti terroristi!”). Invece, è finita: il mondo è tornato a essere quello di sempre, con i buoni di qua e i cattivi di là. Nessuno, però, usa più questi termini: ci siamo fatti furbi. Utilizziamo, al loro posto, una categorizzazione della realtà (del mondo) che, al primo sguardo, sembra filosofia. Se la osservi bene è aria fritta. Il nuovo mondo è ora diviso fra gli illuminati e gli oscurantisti . O luce o tenebra.

Che bello. È tutto più semplice. Abbiamo qualcuno con cui prendercela. Qualcuno così pieno di difetti che gli puoi sparare addosso qualsiasi critica, sicuro che fai centro. Qualcuno che è così incorreggibilmente ingenuo da cascarci ogni volta, da farlo in modo tale da fornire la prova presunta delle nostre accuse, per quanto strampalate esse siano.

Ci piace salire in cattedra, a noi occidentali. Adoriamo impartire lezioni. Agli altri. Mezza Europa è in mano ai banchieri, ai professori di economia, ai tecnici, alla Banca Centrale di Francoforte, alle agenzie di rating. E noi? Zitti. Non li ha eletti nessuno, ma governano. Silenzio. Ci alziamo il mattino, anche in Svizzera, con l’ansia da euro. Pace. Non ci parlano che di tenuta, stabilità, salvataggi, rianimazioni di Stati in agonia, rischio uscita, catastrofi economiche, futuro nero, sacrifici. Sai una cosa? Ci hanno lavorato per bene, ci hanno fritti e rifritti, lo stanno facendo ancora. Siamo come ci volevano: ormai più interessati all’economia che alla democrazia.

Non è una trasformazione semplice da portare a termine. Puoi riuscirci soltanto creando cortine fumogene: la crisi economica ha fornito un pretesto meraviglioso, è diventata una “macchina del fumo”, come quelle utilizzate negli spettacoli. C’è un’altra cortina fumogena, questa è da manuale: il mondo musulmano.

Non potevamo lasciare che dal mondo musulmano giungessero buone notizie, non servirebbero a disorientarci, non ci distrarrebbero abbastanza dai nostri guai. Occorrono brutte notizie. Non scriverò del video “L’innocenza dei musulmani”, perché è stato soltanto un pretesto, organizzato ad arte, per scatenare una reazione da intercettare e distillare con l’obiettivo di ricavarne gli elementi con i quali comporre la nuova visione del mondo alla occidentale di cui sto parlando.

Era nell’aria da un po’ di tempo. Le rivoluzioni arabe hanno generato un panorama politico dominato dai partiti religiosi. Non ci piace. Avremmo voluto i laici al potere. Laici ovunque. Meglio ancora: atei. Guardiamoci attorno: quanto laica è davvero la politica occidentale? Quante decisioni vengono prese (o, più importante ancora, non prese) fondandone le motivazioni nella religione o, comunque, in un discorso, un’atmosfera condizionati da un retaggio religioso? Aborto, contraccezione, pillola del giorno dopo, eutanasia, coppie riconosciute e coppie non riconosciute, omosessualità, educazione, e ce ne sarebbero altri di temi. Non ci stanchiamo di ripetere quanto sia indispensabile la separazione fra Stato e Chiesa. E le definiamo, attenzione, parole sante . Scaviamo oltre: lo Stato di qua, la Chiesa di là. Pensiamoci: è davvero così, è possibile che questa separazione, sancita sulla carta, tenga anche nella realtà? No. No, perché la religione (di cui la Chiesa è l’interprete), oltre che essere un valore individuale è anche (direi: soprattutto) cultura. Siamo imbevuti di religione cristiana. Nel mondo arabo lo sono ancora di più. Pensiamo ai cristiani in Medio Oriente: non praticano la religione, la vivono, in modo molto diverso da noi. È una realtà quotidiana. Confrontata, anche, con le minacce del fondamentalismo pseudo-islamico. Nel mondo arabo musulmano ciò è vero in una intensità ancora maggiore. La religione è ovunque. Non è confinata ai luoghi di culto, ai giorni della settimana. È sempre e ovunque.

Nelle dittature arabe finite a pezzi (e però nutrite, appoggiate, coccolate fino all’ultimo dall’Occidente) la religione aveva preso il posto della politica. Costituiva una forma di opposizione collettiva, sociale. Oggi, con i partiti religiosi al potere, questa religione trova anche la sua espressione operativa. I laici? Dove sono finiti? Un esempio: in Egitto si sono scannati da soli, precipitati dentro il baratro della litigiosità, del primodonnismo, dello sgomitamento vissuto come dichiarazione di indipendenza. Non sono, però, svaniti. Torneranno in scena e con loro chi, nella società, esprime e rivendica ideali diversi.

Mi scrive Habib Hakimi, da Kabul, un caro amico giornalista: “Credo nella libertà di espressione, non c’è nulla di tanto sacro da non poter essere discusso e criticato”. La penso come Habib. Che continua: “Nei Paesi occidentali questo diritto è sancito e protetto dalla legge e costituisce una conquista per la quale avete dovuto lottare a lungo”. D’accordo, di nuovo, con Habib. Aggiungo: dobbiamo continuare a lottare, la libertà di espressione non è un diritto scontato.

Da noi la censura è poco praticata. Preferiamo l’autocensura. È molto più pericolosa. Nasce dal disorientamento e dalla distrazione – indotti dai poteri forti – di cui parlavo sopra. Quante interviste davvero libere, indipendenti ascoltiamo in tv o leggiamo sui giornali? Limitiamoci, per la risposta, all’Europa: poche, pochissime, Svizzera inclusa e anzi direi in primis.

A Ginevra c’è un signore di 60 anni, egiziano, rifugiato politico, ex colonnello dei servizi segreti del suo Paese: è in carcere a Champ Dollon. Da sette anni. Si chiama Mohammad El Ghanam e non ha una pena da scontare. È internato perché giudicato potenzialmente (sulla base di cosa?) pericoloso per la Svizzera. Sta molto male, fisicamente e psicologicamente. È un caso di violazione dei diritti umani. Ed è una storia lunga. Una storia nota alla giustizia, alla politica, alla popolazione elvetiche. Nessuno fa nulla. Nessuno si arrabbia. Nessuno pubblica una vignetta sul giornale.

Il fratello di questo signore sta facendo circolare una mail, nella quale chiede al mondo musulmano di protestare contro la Svizzera per ottenere la scarcerazione di Mohammad El Ghanam. Chiede, in modo preciso, che questa richiesta si saldi con le voci di chi protesta contro la “dissacrazione della religione islamica”.

La religione è politica. La Svizzera finge di non sentire, Palazzo federale si chiude in un silenzio imbarazzato e confuso. Dove siete? Dove siamo? C’è qualcuno?

Mi schiero per la totale libertà di espressione e di pubblicazione (offese e diffamazioni escluse, si capisce). Non ci sono temi troppo sacri da non poterne parlare, da qualsiasi prospettiva. Non esistono personaggi troppo sacri da non poterli affrontare, con il pensiero, la parola, la matita. Vale per la religione. E vale per tutto il resto: la politica, l’economia, la cultura.

Una domanda, una sola in chiusura: perché deve valere sempre e soltanto per gli altri (i musulmani, in questo caso) e mai sempre e davvero anche per noi occidentali?